Domani si va a votare. A me piace andare a votare, mi viene sempre un po’ da sorridere perché non mi pare vero, sono tredici anni che voto e ogni volta mi mette un po’ d’emozione andare nella mia vecchia scuola materna (o media, per un periodo), salutare il poliziotto, entrare, dare i documenti, prendere la matita e il foglio, andare dietro il paravento di legno — lo stesso che vedevo accatastato nei corridoi quando a scuola ci andavo da alunno —, mettere la crocetta, sperare di riuscire a piegare il foglio in meno di cinque tentativi, riconsegnare la matita, e poi mettere la scheda nell’urna. Ecco, soprattutto quello mi emoziona ogni volta. Mi sento importante.
E lo so che oggi è tanto comune sparare a zero, “sono tutti uguali”, “sono tutti corrotti”, “mandiamoli a casa”; e poi quelli che “io non voto perché non cambia mai niente”. Sarà. Ma per quanto imperfetta sia la democrazia, è comunque la cosa migliore che abbiamo; e votare è il momento in cui si può fare una differenza, in un senso o nell’altro. Perché rinunciarci? Non votare “perché non cambia niente” è come spararsi in un piede per dimostrare che il fucile era carico. Facile, poi, lamentarsi che non cambia niente. Ma al di là di tutte le idee politiche che ognuno di noi ha, il voto è importante; che si tratti di amministrative, politiche, europee o referendum non importa.
Ultimamente, ogni volta che vado a votare, mi cade l’occhio sul registro degli elettori. È vero che io spesso ci vado presto, perché sono impaziente e, l’ho detto, andare a votare mi piace. Ma anche nei casi in cui sono andato più tardi, l’ho sempre visto miseramente vuoto. E questo è un male per tutti, perché come si può pensare di essere rappresentativi — ripeto, al di là del risultato — se non andiamo a dire la nostra?
Fate un favore a voi stessi e domani un quarto d’ora mettetelo da parte per andare al seggio. Votate chi vi pare, ma votate!